Nel 2010 la Dieta mediterranea è entrata a far parte del Patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco. È sempre più diffusa nel mondo, ma sta rallentando in Italia, proprio nel Paese in cui ha avuto origine, dove rischiamo di perdere la cultura che la dieta rappresenta, travolti da ritmi frenetici e perdita del valore delle relazioni umane. È quanto emerso durante l’incontro dedicato al tema durante il Festival del Giornalismo alimentare di Torino a cui hanno partecipato fra gli altri Stefania Ruggeri di Crea, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, Luca di Leo, responsabile delle relazioni con i media del gruppo Barilla e Alfonso Pecoraro Scanio, presidente della Fondazione Univerde.
“Spesso si dimentica che la dieta mediterranea - ha ricordato Stefania Ruggeri - ha una base prevalentemente vegetale, per questo impatta molto poco sull’ambiente ed è quindi la dieta che può salvare il pianeta”. “Per conservare il patrimonio della dieta mediterranea - sottolinea Luca di Leo - Guido Barilla, presidente del Gruppo, in una recente intervista all’Economist ha puntualizzato alcuni degli interventi più stringenti: il settore pubblico deve incentivare l’agricoltura sostenibile, contribuire concretamente a ridurre lo spreco alimentare e a migliorare la qualità della nutrizione, per esempio promuovendo un sistema efficace ed esauriente di etichettatura per diffondere il consumo di cibo sano e controllato”.
Ma come ha ricordato Pecoraro Scanio “La dieta mediterranea è uno stile di vita, cha ha a che fare con una sana alimentazione, attenzione al territorio, gusto per la convivialità e sane abitudini in generale ed è simbolo di inclusione: parte dalI’Italia ma è il collante di un network che deve essere internazionale”.
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