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Andrea Febo, Radio Food: Il futuro è dei contenuti audio

Andrea Febo, Radio Food: Il futuro è dei contenuti audio

Andrea Febo, giornalista e fondatore di Radio Food spiega come si è mossa la sua redazione nel 2020. Tante dirette video, interventi quotidiani di esperti e molti User Generated Contents hanno caratterizzato i mesi centrali della pandemia. E per il futuro? Sempre più spazio verrà lasciato alle parole e all’evoluzione digitale degli audio content. Per questo Andrea ha deciso di investire nelle produzioni audio con la nuova etichetta di Edizione T-ReK.

Come avete affrontato con la vostra testata questa pandemia e la conseguente grande difficoltà nel settore ristorativo?

«Inizialmente abbiamo da subito declinato i nostri contenuti su un format video, convergendo su dirette che sono riuscite in maniera più coinvolgente e interagire con le persone. Era un momento di grande incertezza e quindi di grande bisogno di informazioni. Siamo riusciti a chiamare in causa figure professionali che in altri periodi sarebbero state davvero complicate da contattare nei pochi momenti liberi, e questo ha rafforzato la credibilità. Andando oltre l’informazione pura, intesa come video interviste e redazionali scritti che non si sono mai fermati, la ristorazione è stato, ed è tuttora, un settore delicato, costretto a confrontarsi molto spesso contro la propria natura. Quasi nessuna di quelle che conosciamo è nata per fare delivery e la conseguenza è stata che qualcuno ce l’ha fatta nel creare un’offerta di qualità, altri hanno addirittura fatto meglio di quanto riuscissero al tavolo, ma molti altri ancora hanno inevitabilmente fatto i conti con un qualcosa che non sapevano, non potevano e non dovevano fare. Come redazione, abbiamo cercato di fare il meglio che potevamo nel rispetto del legame che ci lega alla ristorazione, ma soprattutto a chi ci segue».

Avete in qualche modo modificato la vostra narrazione solita?

«A parte le declinazioni dei contenuti tra scritto, parlato e ripreso in live, lo stile è sempre lo stesso. Sostanzialmente cerchiamo di creare opinione attraverso il confronto. Chiamare in causa chi ha contenuti di valore da condividere, mantenendo uno stile generativo, è stato sempre un obiettivo che speriamo di raggiungere quotidianamente».

Avete realizzato qualche iniziativa particolare per raccontare questo periodo così particolare?

«In particolare, una sì. Abbiamo pensato potesse essere importante aggiornare settimanalmente la categoria sui provvedimenti di Governo con un contenuto video che ospitava Claudio Pica, presidente Fiepet,  Confesercenti Roma e vice presidente Nazionale. Tra l’altro unitamente all’Ordine dei Tecnologi Alimentari di Lazio e Campania, nella persona della Dott.ssa Maria Manuela Russo, abbiamo promosso linee guide per gli adeguamenti ristorativi e metodi innovativi di sanificazione degli ambienti.»
Dal vostro punto di vista, come hanno comunicato secondo voi le aziende del food in questo periodo?

«Difficile entrare nel merito di un giudizio. Credo che ognuno abbia comunicato come poteva. Quello che è risultato evidente è l’importanza della comunicazione, che, in altri periodi, è stata da sempre sottovalutata. Molti hanno scoperto che è impossibile non comunicare e che quindi è necessario farlo bene, pagando il prezzo di una disorganizzazione sia online che offline. Molto spesso, la comunicazione viene considerata un costo e non un investimento, ecco questo è emerso in maniera inevitabilmente penalizzante per chi la comunicazione l’ha sempre trascurata».

Ci sono iniziative che vi hanno colpito particolarmente e che avete voluto mettere in evidenza?

«Ci sono state molte realtà che hanno colpito per dignità e creatività, per flessibilità e intelligenza imprenditoriale. A volte anche dettate dall’esigenza. Penso a chi investito nelle vendite online (pasticcerie come Olivieri 1882), a chi ha trasformato la propria rete di distribuzione prodotti per la ristorazione, destinandola al consumatore (Longino&Cardenal e HQF), oppure attività ristorative che non hanno puntato a cambiare la propria offerta e identità gastronomica, investendo in attività compatibili parallele (Retrobottega in prodotti freschi da banco e Zia Restaurant* con la pasticceria). Poi sono nate molte start up innovative come Too Good To Go, contro lo spreco alimentare».
E i vostri utenti/lettori/ascoltatori come hanno reagito?

«Credo che ci sia stato, e che sia ancora in atto, un arco reattivo da parte delle persone, fortemente legato all’emotività. Se all’inizio c’era bulimia di informazioni e intrattenimento, questi mesi sono invece caratterizzati da un forte individualismo; forse sano, considerata la situazione. Per questo abbiamo puntato a implementare i contenuti editoriali capaci di dare qualcosa di personale a chi ha interesse specifico sull’importanza dell’economia circolare, per esempio, o sulla consapevolezza alimentare».

Avete notato una maggior sensibilità a determinati temi legati al mondo del food?

«Assolutamente sì, quello che penso si possa dire, con assoluta certezza, è che ovunque, su ogni media, si siano concentrati messaggi importanti sull’eco-sostenibilità. Dalla qualità dei prodotti all’importanza di un consumo consapevole, fino alla lotta agli sprechi. Questi sono stati, per fortuna, i temi più importanti nel settore in questo periodo. Come la digitalizzazione di impresa e l’ottimizzazione dei processi produttivi, che non dimentichiamo hanno trovato nell’anno della pandemia occasione di sviluppo. Alla fine di quest’emergenza, molte aziende si ritroveranno migliori di prima».

C’è stato, secondo voi, un incremento di attenzione nei confronti di questo settore?

«A dirla tutta sì, ma molte volte con espressione negativa. Sicuramente la cucina affascina tutti e quindi dargli spazio è una mossa mediatica strategica, ma credo che troppo spesso la categoria non sia stata rappresentata al meglio. Iniziative scoordinate, esasperazione comprensibile, ma poco produttiva, capacità di dialogo nei tavoli decisivi assente. La ristorazione è un settore più grande di quello che immaginiamo e comprende sia piccoli che grandi imprenditori, nei mass media non ho quasi mai visto quella classe imprenditoriale rappresentativa, capace di valorizzare questo privilegio di attenzione.»

Dopo la pandemia, e quando finalmente si potrà parlare davvero di ripartenza, come cambierà secondo voi la comunicazione in ambito food?

«Purtroppo, penso che nella maggior parte dei casi tornerà ad essere un costo da tagliare e non un investimento produttivo. C’è da dire però che l’evoluzione è inesorabile. Sempre più spazio verrà lasciato alle parole e all’evoluzione digitale degli audio content. Se pensiamo ai grandi investimenti di giganti come Google e Amazon, in piattaforme podcast e smart speaker, abbiamo un futuro delineato. Con lungimiranza bisognerebbe investire in produzione di contenuti audio di valore, oggi anche indicizzati dai motori di ricerca, che un domani saranno gli unici a poter essere letti dagli smart speaker. Il futuro è in contenuti con meno attrito, asincroni, on demand. È importante smettere di essere autoreferenziali spingendo prodotti di cui non si ha bisogno per creare un consumo incontrollato, nonché spesso fallimentare. Spero invece in un eco-marketing, dove si generino valori capaci di creare community spontanee, solide e consapevoli. Anche nel nostro settore».

Quali canali dovrebbero essere privilegiati e quali quelli che hanno fatto il loro tempo?

«Non credo che ci siano canali scaduti, credo piuttosto che ognuno abbia il suo spazio sempre più specifico e canalizzato. Ogni piattaforma ha una funzione e un proprio pubblico ben definiti, quindi c’è da studiare bene a chi ci si vuole rivolgere prima di parlare ovunque. Tuttavia, il futuro è proiettato sul potere intimo e coinvolgente della voce. Esiste la possibilità che gli speaker saranno i prossimi influencer.

Dal 2019 a oggi gli utenti e le sessioni medie di ascolto sui player italiani sono quadruplicati, parliamo di podcast (analisi 2020 Voxnest per Spreaker)».
Avete qualche progetto futuro che ci volete anticipare legato alla vostra testata o alla vostra vita professionale?

«La radio rimane radio e ha una sua funzione, non credo possa mai declinare. Per una radio web verticale la sfida, non sempre facile, è solo quella di mediare il più possibile con l’intrattenimento che è nella natura dello strumento. Personalmente poi ho deciso di investire proprio nelle produzioni audio. Con un’etichetta di edizione che si chiama T-ReK. Sto producendo podcast in progetti importanti e progettando la realizzazione di canali di genere traversali. La voce ha sempre avuto una forza narrativa molto potente e legare i valori di un soggetto a delle storie capaci di creare identità di community».

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