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Iaccarino, Corriere, Basta webinar, ora voglio vedere con i miei occhi

Iaccarino, Corriere, Basta webinar, ora voglio vedere con i miei occhi

«Sono giornalista, voglio tornare a vedere le cose con i miei occhi, nelle aziende». Luca Iaccarino, giornalista e scrittore, autore di una fortunata rubrica di recensione dei ristoranti sull'edizione torinese del Corriere della Sera, racconta come, alla chiusura dei ristoranti, lasciata da parte per ovvie ragioni la critica gastronomica, si è concentrato sulle caratteristiche d'impresa e al dietro le quinte. E di come abbia voglia di tornare a visitare di persona i luoghi del cibo.

Come hai affrontato questa pandemia e la conseguente grande difficoltà nella ristorazione? Hai modificato il tuo racconto?

«Ho cambiato il mio racconto e l'oggetto della mia indagine, essendo spesso i ristoranti chiusi ed essendo eventualmente surreale cercare il capello in mezzo alla tempesta nelle rare aperture. Questo mi ha permesso di fare una riflessione e un cambiamento che secondo me sarà permanente. Come già detto da Ferran Adrià, in questo momento, il tema dev'essere non dove va la gastronomia, ma dove vanno le attività di ristorazione, per essere sostenibili nel mondo che sarà. Ho raccontato così la parte d'impresa dei ristoranti, per esempio, l'avventura di Pourmanger: nel mondo vecchio ho parlato della loro parte più divertente e pop, gastro-sociale direi, adesso mi sono soffermato sulla cessione dell'attività a Cirfood, colosso dell'alimentazione collettiva, dopo aver chiuso il 2019 con 3 milioni di euro e 47 dipendenti. Una bella storia di successo, realizzata prima della pandemia. Un altro esempio, è l'articolo sui lavapiatti d'Italia per D di Repubblica, perché mi interessava raccontare una parte strutturale dei ristoranti, generalmente invisibile. In passato non avrei guardato al dietro le quinte, ma penso che questo sguardo rimarrà anche in futuro».

Dal tuo punto di vista, come hanno comunicato le aziende del food e della ristorazione in questo periodo? Ci sono iniziative che ti hanno colpito particolarmente e che hai voluto mettere in evidenza?».
«Hanno fatto comunicazione con i fatti: tantissimi delivery, la box per Pasqua, la colomba, che in genere i ristoranti non facevano, tutte queste cose sono state “comunicazione” e, come tali, penso le indicheranno nei loro bilanci. Mi è molto piaciuto che il delivery abbia permesso una comunicazione molto calda, quasi carnale, mandando i titolari a casa dei clienti. Vincenzo Donatiello, sommeiller di Piazza Duomo, ad Alba, portava personalmente i pasti a casa dei clienti, una cosa molto bella, fatta anche da altri a Torino. Non ho visto comunicazione fatta in altro modo. Certo, ci sono anche i ristoranti che sono scomparsi, una scelta anche quella: ma se qualcuno riesce a gestire questo letargo e poi a ripartire con slancio non appena si potrà, avrà tutta la mia stima».

E i tuoi lettori come hanno reagito? C'è stato, secondo te, un incremento di attenzione nei confronti di questo settore?
«Onestamente non vedo maggiore attenzione da parte dei lettori. La pandemia ha tagliato magari glamour, paillettes e fighetteria al mondo del cibo, ma non penso che ci sia maggiore attenzione da parte del pubblico. Al limite è scemata. Bisogna considerare che la ristorazione è rimasta ferma per quasi un anno. Forse si sta più attenti alla sostanza sulla forma, ma chissà se questo durerà alla riapertura dei locali, non posso dirlo. Magari tutto questo rimbalza perché appena usciti di casa avremo di nuovo voglia di divertirci. Il cibo adesso ha ridotto l'edonismo: ma durerà?»
Dopo la pandemia, e quando finalmente si potrà parlare davvero di ripartenza, come cambierà secondo te la comunicazione in ambito food? Quali canali dovrebbero essere privilegiati e quali quelli che hanno fatto il loro tempo?
«Partiamo dall'estate, considerando che la pandemia vada verso il finale con le vaccinazioni. La comunicazione spingerà sui posti aperti, sulla voglia di fare esperienze in vacanza: non è una cosa nuova, è stato già fatto negli ultimi anni, ma si aggancerà il cibo alle esperienze di libertà ritrovata dopo le restrizioni. Sui mezzi, è una buona domanda, perché bisogna capire cosa sarà effimero e cosa duraturo. Pensa a tutte le esperienze zoom, alle box mandate a casa. Si continuerà così o torneremo indietro? Spero che torneremo al territorio. Abbiamo passato una vita a raccontare che lo stile italiano è il legame del cibo con il territorio: il Nebbiolo diventa Barolo solo a Barolo, non in California. Quindi credo che slegare il racconto del cibo dai suoi luoghi sia un errore, per cui spero si torni a questo». 

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