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Lazzaris, Will Media: "L'informazione sempre più attenta all'ambiente"

Lazzaris, Will Media: "L'informazione sempre più attenta all'ambiente"

Silvia Lazzaris, lavora come giornalista scientifica e produttrice radio per testate italiane e internazionali. Silvia è responsabile dei contenuti sul cibo di Will Media e lavora come editor per la piattaforma FoodUnfolded, finanziata dall'Unione Europea. Il suo lavoro è stato pubblicato su Corriere della Sera (sezione Innovazione), BBC World Service, Domani, e Wired UK. Su Instagram e Twitter è @silvialazzaris.

La pandemia ha fatto da lente di ingrandimento sulle contraddizioni (e sulle responsabilità) di un sistema produttivo alimentare troppo spesso insostenibile. Si sta manifestando una maggiore sensibilità ambientale nelle linee politiche mondiali?

«Senza dubbio. L’amministrazione Biden sta dando priorità alla crisi climatica e alla giustizia sociale, e per questo le sue politiche potrebbero cambiare in maniera significativa il sistema alimentare americano. L’Unione Europea lavora su questi temi da tempo e ha fatto qualche timido passo avanti – ma niente di rivoluzionario. Un vero e proprio “quadro legislativo per i sistemi alimentari sostenibili” è al momento in incubazione e sarà introdotto nel 2023. I prossimi due anni saranno un periodo di trattative tra politica e industria europee. Al loro termine scopriremo se la politica ha deciso di accettare qualche turbolenza nel breve termine per salvaguardare gli ecosistemi e le comunità nel lungo termine».

Dal tuo punto di vista di giornalista del settore, come hanno modificato la comunicazione le aziende del food e della ristorazione (aziende alimentari, ma anche chef, ristoranti etc) in questo periodo? Ci sono iniziative che ti hanno colpita particolarmente o che hai voluto mettere in evidenza?

«Diverse aziende del settore alimentare sono sempre più esplicite riguardo alle proprie strategie di sostenibilità, e questo già da qualche anno. Negli ultimi anni le aziende si sono concentrate in maniera sempre più preponderante sulla comunicazione di iniziative virtuose al consumatore. Ma non sempre più comunicazione vuol dire più trasparenza e azioni concrete. Sono contenta quando trovo un rapporto dettagliato e informazioni verificabili.

Tra le iniziative che mi sono piaciute di più durante la pandemia ci sono mappe digitali che mostrano dove si possono andare a comprare prodotti direttamente dai produttori o da piccoli rivenditori. In Inghilterra questa iniziativa si chiama Big Barn, in Italia esistono sia Zizzu.it, che organizza consegne a domicilio da piccoli negozi di zona, e Viveresenzasupermercato.it, che ha creato una mappa per mettere i consumatori in contatto con negozi che vendono sfuso, aziende agricole e sociali, botteghe e negozi di quartiere.

Queste iniziative sono necessarie perché mi sembra che gran parte dei problemi del sistema alimentare a cui stiamo assistendo siano riconducibili a una cultura della convenienza e del comfort, per cui andiamo al supermercato viziati, aspettandoci di trovare qualsiasi cibo vogliamo qualsiasi giorno dell’anno. Questa percezione della disponibilità alimentare è insostenibile. Abbiamo bisogno di ritrovare umiltà nel nostro rapporto con il cibo, e non c’è modo migliore se non quello di riconnettersi con chi il cibo lo produce».

I lettori di Will come hanno reagito? Ha notato una maggiore attenzione o richiesta di informazioni verso certi temi legati al mondo del cibo?

«Abbiamo iniziato a proporre l’argomento cibo in modo più regolare dall’estate scorsa, e la nostra community ha mostrato molto entusiasmo verso queste tematiche. Per ogni contenuto che pubblichiamo, arrivano miriadi di richieste di ulteriori approfondimenti. C’è molta attenzione alla sostenibilità, alla ricerca di informazioni accurate, ma anche molto fervore emotivo. Su temi caldi e controversi le opinioni si spaccano a metà. Il nostro compito è cercare di ricucire uno spazio tra i due poli, per favorire il dialogo e un sano confronto tra posizioni diverse».

Una delle questioni più spinose connesse alla Brexit riguarda la gestione e la legislazione dell’import/export alimentare da e verso i paesi europei. Vivendo nel Regno Unito, hai notato dei cambiamenti rilevanti o interessanti nella narrazione del cibo da parte del mondo aziendale e giornalistico innescati a seguito della Brexit?

«Diverse testate hanno dato la parola a produttori e rivenditori frustrati perché non avrebbero più potuto esportare o importare certi prodotti. Le tasse sull’esportazione e l’importazione ora di fatto prezzano i prodotti fuori dal mercato. C’è stata poi l’attenzione alle proteste dei pescatori scozzesi. E poi come dimenticare le foto delle code chilometriche di camion fermi davanti al canale della manica. Forse per la prima volta in molto tempo hanno fatto percepire l’insularità del paese come uno svantaggio. La comunicazione giornalistica però si è concentrata per lo più sul tentare di non creare panico ed evitare che le persone accumulassero riserve di cibo inutilmente. In fondo “solo” poco più di un quarto di tutto il cibo consumato in Inghilterra era prodotto in Europa. Più della metà del cibo consumato in Inghilterra è prodotto sul territorio, piccole percentuali arrivano da altri paesi in giro per il mondo. Negli ultimi mesi ho visto molta comunicazione che sembra puntare su una sorta di orgogliosa autarchia alimentare. Ma anche molta autoironia e sconforto nei confronti di questa nuova direzione. In fondo gli inglesi non si sono mai vantati tanto della propria cucina quanto di quella che importano dall’estero e che hanno reso in qualche modo propria».

Quando il periodo di pandemia si avvierà verso la conclusione, quali saranno secondo te i cambiamenti più rivoluzionari che rimarranno nella comunicazione in ambito food? Verranno privilegiati nuovi canali di comunicazione, altri che invece avranno fatto il loro tempo?

«Penso, o forse mi auguro, che sempre più attenzione sarà data al cibo come tema giornalistico a sé stante, da sviscerare a trecentosessanta gradi. Forse durante questa pandemia ci si è resi conto che la comunicazione riguardo al cibo non può essere solo gastronomica, culturale, o salutista. È anche ambientale, sociale, politica. Ma se anche non bastasse questa pandemia per sancire questo ampliamento del giornalismo alimentare, ci saranno altri problemi a rendere la comunicazione intorno al cibo dominante all’interno dei media. Scarsità dell’acqua, esaurimento delle risorse naturali, riscaldamento globale, svuotamento dei mari, solo per menzionarne alcuni.

Il giornalismo alimentare segue la tendenza del resto del giornalismo – non penso ci siano canali di comunicazione che hanno fatto il loro tempo, a patto che si rinnovino i format e i contenuti. Poi ovviamente l’utilizzo sempre più preponderante è quello del giornalismo multimediale e digitale, e di strumenti come i podcast. Ma penso ci sia anche spazio per magazine cartacei fatti bene per un pubblico più di nicchia».

Per chiudere uno sguardo al futuro: ha in cantiere qualche progetto che ci vuole anticipare legato alle tue collaborazioni giornalistiche o più in generale alla tua vita professionale?

«Vivo più tempo in Italia cosa che significa riuscire a mettere in cantiere sempre più progetti insieme a Will.

Con FoodUnfolded, invece (la piattaforma finanziata dall’Unione Europea di cui sono editor) ci stiamo preparando al vertice delle Nazioni Unite sul sistema alimentare. Al momento sto organizzando, per conto delle Nazioni Unite, un dialogo con più di cinquanta millennials sul problema crescente della scarsità dell’acqua nell’area del Mediterraneo».

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