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Manuel Bruscas, l'attivista spagnolo che combatte l'estetica del cibo

Manuel Bruscas, l'attivista spagnolo che combatte l'estetica del cibo

Basta con la dittatura dell’estetica nel cibo e basta con gli sprechi. Con la pandemia è cambiato il rapporto dei cittadini con il cibo: è aumentata la sensibilità contro il suo spreco, in un tempo che ha visto anche aumentare le code alle mense pubbliche.

Si definisce un uomo «che ama raccontare storie con i dati»: Manuel Bruscas, attivista spagnolo contro lo spreco alimentare, lavora nel settore digitale da oltre vent'anni, specializzato, per l'appunto, nell'analisi dei dati. Come attivista ha scritto il libro “Los tomates de verdad son feos” (I veri pomodori sono brutti), è uno dei fondatori del progetto “Food for Thought”, con cui si analizzano le tendenze del mondo dell'alimentazione, e ha un blog sull'edizione spagnola dell'Huffington Post.

Come ti sei avvicinato all'attivismo contro lo spreco alimentare? Cosa ti ha interessato e continua a interessarti?
«Tutto è iniziato nel 2010: ero con mia moglie a riordinare i mobili della cucina e ci siamo resi conto che avevamo molto cibo scaduto, che abbiamo dovuto buttare. In quel momento qualcosa si è mosso dentro di me e ho iniziato a cercare informazioni sugli sprechi alimentari. Ho scoperto così la triste realtà: circa un terzo del cibo che produciamo sul Pianeta Terra finisce sprecato. E questo accade mentre milioni di persone soffrono la fame. Questo brutale paradosso mi ha scosso dentro e continua a spingermi a chiedere un modello alimentare più umano e giusto: oggi produciamo cibo a sufficienza per evitare che qualcuno soffra la fame. E nell'ambito di queste assurdità, continua a sorprendermi la quantità di frutta e verdura che si spreca perché è brutta. È quella che io chiamo la dittatura dell'estetica. Sono arrivato alla conclusione che non tolleriamo rughe e imperfezioni (e non mi riferisco solo al cibo)».
Qual è il comportamento degli spagnoli sullo spreco alimentare? Esistono politiche di sensibilizzazione in materia?
«In Spagna c'è una consapevolezza sempre maggiore. In primo luogo, i media hanno dato più visibilità allo spreco alimentare. Secondo, emergono costantemente associazioni, cooperative e gruppi di consumatori che mirano a porre fine agli sprechi (sia di cibo che di altri prodotti). Terzo, si stanno consolidando le aziende il cui obiettivo è combattere lo spreco alimentare. Tuttavia, questa "dinamica positiva" non è stata accompagnata dal governo spagnolo. Le campagne di sensibilizzazione sono state infatti molto isolate e non è stata approvata una legge al riguardo, come è stato fatto in Paesi come Francia e Italia. È un peccato perché in regioni come la Catalogna sono state approvate misure legislative molto potenti, grazie al consenso di tutti i gruppi politici, e quindi non dovrebbe essere difficile farlo anche a livello nazionale. Alla fine del 2020, Luis Planas, ministro dell'Agricoltura, della pesca e dell'alimentazione, ha espresso l'intenzione di portare in Consiglio dei ministri un disegno di legge sullo spreco alimentare "durante il primo trimestre del 2021". Purtroppo siamo già nel secondo trimestre e non è successo niente: siamo senza legge, e quel che è peggio, senza un processo partecipativo con tutti gli attori della filiera alimentare».
La pandemia ha cambiato l'attenzione su cibo e spreco alimentare?
«Sì, la pandemia ha cambiato il nostro comportamento e le nostre abitudini alimentari. In termini generali, vorrei evidenziare queste quattro tendenze: 1) Ci siamo resi conto che il cibo è fonte di salute e benessere; 2) Nuove linee di consumo sono state protagoniste (più proteine vegetali, meno carne; più prodotto locale, ecc.); 3) Il digitale è una parte fondamentale del nostro rapporto con il cibo (shopping online, consegna a domicilio, #foodporn su Instagram, ecc.); 4) Siamo più consapevoli del problema dello spreco alimentare e dell'importanza dell'impatto ambientale del nostro modello alimentare attuale (non sostenibile).
E aggiungo ancora che nei primi mesi della pandemia, la chiusura forzata di ristoranti, hotel e mense ha fatto sì che molti agricoltori non avessero più i loro acquirenti abituali, il che ha comportato grandi perdite. Allo stesso modo, e con la chiusura delle frontiere, si è visto che non c'erano lavoratori "spagnoli" disposti a lavorare per raccogliere frutta e verdura. Questo è stato ampiamente riportato dai media. Allo stesso modo, la situazione economica estremamente dura ha fatto capire a molte famiglie che se non buttano via il cibo possono risparmiare denaro (300-400 euro all'anno). E ovviamente le code della fame. In Spagna, prima della pandemia, c'erano già quasi 800mila persone in una situazione di grave insicurezza alimentare. Negli ultimi mesi la situazione è peggiorata e le code nelle mense sono state, purtroppo, molto frequenti».
Qualche anno fa hai scritto un libro, Los tomates de verdad son feos, dopo la pandemia hai presentato il progetto Food for Thoughts. Ce ne parli?
«Los tomates de verdad son feos nasce dall'esigenza di parlare di spreco alimentare in modo "diverso": con i dati, ma anche con le storie e le poesie. A volte i numeri sono troppo freddi per poter raggiungere il cuore delle persone e far loro vedere le assurdità dello spreco alimentare. È stato un progetto deliziosamente "brutto" in compagnia di Alejandra Zúñiga, una buona amica, che è una meravigliosa illustratrice.
Il progetto "Food For Thought" nasce con un obiettivo: riflettere sul mondo del cibo. Quali sono le grandi tendenze? Che impatto ha la tecnologia sul modo in cui ci relazioniamo al cibo? Rispondere a queste domande non è facile. Richiede dati, analisi, ma anche tanto cuore. Perché il cibo è qualcosa di culturale, di identità. Ed è per questo che richiede un'analisi artigianale. Marc Colomés e io (i fondatori di Food For Thought) vogliamo aiutare tutte le aziende e le organizzazioni del settore alimentare a cucinare il futuro a fuoco lento».
Il Festival del Giornalismo Alimentare è molto attento allo spreco alimentare: lo scorso anno abbiamo lanciato una petizione per una legge che renda obbligatoria la food bag nei ristoranti. Pensi che iniziative o leggi a livello europeo sarebbero utili per sensibilizzare su questi temi, che non sono solo legati al cibo, ma anche a uno stile di vita più sostenibile?
«Questo tipo di iniziative sono molto positive e necessarie: la pressione popolare fa reagire i nostri leader e mette in primo piano la lotta allo spreco. È molto importante che si faccia pressione anche a livello europeo perché le politiche approvate a Bruxelles finiscono per essere imposte in tutti gli Stati membri dell'Unione europea. Nel settore della ristorazione ci sono grandi margini di miglioramento. In Catalogna, ad esempio, c'è da tempo l'iniziativa Remenjammm: promuove l'uso delle food bag nei ristoranti e premia tutti gli anni i ristoranti più innovativi nella lotta allo spreco alimentare».

 

 

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