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La commodity spiegata con il grano, ma anche con l'Halal Food

“Dodici nazioni al mondo assicurano l’80% dell’approvvigionamento delle commodities alimentari”. Ha aperto così Amedeo Reyneri, docente all’Università di Torino nel dipartimento di Scienze Agrarie, il dibattito sul sistema del grano, “il cereale più importante e più coltivato al mondo”.

Il tema della commodity del frumento è stato affrontato non soltanto dal punto di vista economico. Questo perché "è un sistema enorme, tra i più complessi che abbiamo”. I suggerimenti che il professore si sente di dare sono due: “Per recuperare competitività bisogna orientare le commodities verso specialties, cioè rispondere alle domande più avanzate delle reti agroalimentari. In Italia, ad esempio, stiamo provando a produrre un grano particolare. In secondo luogo, ai giornalisti suggerisco, poiché questo è un sistema complesso, di prestare attenzione alle semplificazioni, agli slogan facili, agli stereotipi. Semplificando molto, si rischia molto”.

Il suo collega Paolo Biancone, docente di Management, ha invece affrontato il tema dell’eticità attraverso un esempio: quello dell’Halal Food, il sistema di alimentazione arabo che riguarda un miliardo e mezzo di musulmani. “Nel mondo arabo l’etica è la volontà di Dio: halal è tutto ciò che è lecito. Haram è il contrario e dal punto di vista alimentare è la carne di maiale o l’alcol. Per le nostre imprese è molto importante. La conoscenza di ciò che è lecito e ciò che è illecito può essere un’opportunità per le imprese che operano nel business alimentare e per scoprire nuovi mercati. Il concetto in Italia è abbastanza sviluppato, anche se non esiste ancora un ristorante che sia certificato come interamente halal food”.

“Oggi lo scenario internazionale indica che la parola d’ordine dei mercati è la volatilità e questo crea incertezza”: a dirlo è Roberto Iotti del Sole 24 Ore, che spiega che “l’incontro tra domanda e offerta è cambiato notevolmente. La carenza di grano nel Nord Africa portò alla primavera araba del 2010. Prima era però stata chiamata rivolta del pane: ecco come la carenza o il fatto di poter gestire approvvigionamenti si trasforma in un fattore di geopolitica”.

Ha chiuso il dibattito Francesco Mele di Slow Food: “Non si può utilizzare un modello industriale in cui al centro continua a esserci solo il profitto nella sua cinicità. Questo non è il modello vincente per nutrire il pianeta. Non si può essere contro l’arricchimento, certamente, ma se al centro c’è il profitto e non gli interessi sociali questo sistema non è più sostenibile”.

di Sara Iacomussi e Monica Merola (Futura)

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