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Tafi e Rabaglio, Mediatyche, "La vera comunicazione sarà ascolto"

Tafi e Rabaglio, Mediatyche, "La vera comunicazione sarà ascolto"

Un cambiamento da cui non si tornerà più indietro. Massimo Tafi, founder di Mediatyche e membro del consiglio direttivo dell’Unione nazionale delle aziende della comunicazione ed Elena Rabaglio, co-founder e responsabile clienti di Mediatyche, riflettono su come è stata la comunicazione durante la pandemia e come sarà alla ripresa.

Come stanno comunicando le aziende durante questa pandemia? Come vi chiedono di lavorare i vostri clienti?

«Nel decorso della pandemia, a livello di sentimento collettivo, si possono distinguere fasi molto diverse fra loro: quello dell’incredulità iniziale è stato seguito da quello “dell’andrà tutto bene” per passare poi a quello del “si salvi chi può” per arrivare a un mix di insofferenza e di rassegnazione. La comunicazione delle aziende, come è giusto che sia, ha seguito una parabola simile. I richiami negli spot dei grandi brand “all’andrà tutto bene” e allo “stiamo uniti, insieme ce la faremo” penso che li ricordiamo tutti. Personalmente li trovavo falsi e stucchevoli allora, ora credo che siamo tutti d’accordo nel ritenerli sciagurati e sbagliati. Per fortuna, quindi, siamo tornati a una comunicazione più “normale”, che non pretende di salvare il Paese con slogan facili e vuoti. In compenso nella comunicazione delle aziende si nota una consapevolezza nuova: la pandemia c’è, sta cambiando il mondo, le imprese continuano a fare ciò per cui sono nate (e non populismo da quattro soldi) ma lo fanno sapendo che il modo in cui le risorse sono impiegate o consumate incide sulla vita di tutti. E questo si riflette anche sul nostro lavoro: da 5 o 6 anni noi siamo sulla frontiera della sostenibilità, da qualche mese a questa parte sono molte di più le aziende che ci chiamano per essere aiutate a comunicare i loro processi di sostenibilità».

Dopo la pandemia, come cambierà la comunicazione? Quali canali dovrebbero essere privilegiati e quali quelli che hanno fatto il loro tempo?

«La comunicazione è già cambiata e questo cambiamento è destinato a consolidarsi; basti pensare al modo in cui certi settori hanno dovuto accelerare il processo di digitalizzazione per restare in contatto con i propri clienti e sbarcare il lunario. L’e-commerce stesso paradossalmente ha dovuto evolversi per permettere di replicare l’esperienza in store nella dimensione virtuale, garantendo ai negozi chiusi di continuare a vendere e a comunicare con i clienti mantenendo la stessa sintonia che si creava di persona. Su questo è intervenuta un’azienda italiana, molto innovativa, Radicalbit, che ha sviluppato il live stream shopping, un'inedita funzionalità per lo shopping on line che consente ai retailers di vendere i propri prodotti o servizi durante un live stream permettendo un’interazione diretta come in negozio e analizzando in tempo reale le abitudini e i bisogni dei consumatori. Questo è solo un esempio di quanto si sono evoluti certi canali e non significa che uno sia meglio dell’altro; oggi assistiamo a un’evoluzione della comunicazione nella sua interezza, che non preclude nessun mezzo e nessun canale, ma che impone la modalità dell’ascolto e del dialogo, non basta più dire che il consumatore sia al centro».

Le aziende svilupperanno i loro canali di comunicazione per comunicare direttamente con i consumatori?

«Questi canali già esistono e cresceranno sempre di più, ciò non significa che siano gestiti sempre internamente, la maggior parte delle realtà si avvarrà comunque di un’agenzia di fiducia per la consulenza, la strategia e l’operatività. Come dicevo, l’azienda sarà sempre più responsabile della relazione che instaura con i propri stakeholder, consumatori inclusi. Da qui la necessità di integrare al meglio, nel proprio modello di business, la sostenibilità, nelle sue tre accezioni – economica, sociale e ambientale. La consapevolezza su questo tema cresce, come vediamo dall’Osservatorio Sostenibilità e Comunicazione che Mediatyche ha creato insieme ai suoi partner, ma c’è ancora molto lavoro da compiere a livello di formazione e change management. Mediatyche è molto sensibile da questo punto di vista e ogni azione che compie la fa con la missione di guidare le aziende verso questo cambiamento».

Quale sarà il rapporto degli uffici stampa con media indipendenti e con i giornalisti e quale sarà il modo più efficace di rapportarsi con loro?

«Finché ci saranno giornalisti e media indipendenti (speriamo sempre) il lavoro dell’ufficio stampa può cambiare nelle modalità, nei contenuti, ma non cambia nella sostanza: fornire notizie stimolanti e interessanti per i fruitori/lettori/spettatori/ascoltatori di quei media. E per farlo ci sono poche “tecniche”: studiare, approfondire, capire l’azienda per cui si comunica, capire i bisogni e gli interessi del media con cui ci si rapporta. Dal punto di vista delle modalità, appunto, invece cambia molto: oggi anche molti giornalisti lavorano in smartworking, le conferenze stampa debbono essere fatte in remoto, il video si è già affermato ma al suo fianco stanno esplodendo i podcast, i social stravolgono il concetto di “tempo”, una diretta facebook brucia qualsiasi tv. Conquistarsi spazi di ascolto e di autorevolezza significa mettere in campo creatività e fantasia, imparare a conoscere i nuovi canali e riempirli di contenuti “vivi”. Bisogna saper trasferire a canali “freddi”, la vitalità, il calore e “l’umanità” dell’incontro di persona: è una sfida difficile, ma mi sembra che nonostante tutto gli uffici stampa continuino a fare molto egregiamente il loro mestiere. Anche in un tempo difficile come quello della pandemia e del lockdown totale del marzo 2020 e dell’inverno scorso hanno contribuito, in strettissima collaborazione con giornalisti e media, a tenere informato il Paese».

Ci parli dei vostri progetti, delle vostre offerte innovative di comunicazione?

«Ogni giorno, quando collaboriamo con i nostri clienti per sviluppare progetti di sostenibilità, mettiamo in campo un progetto innovativo. Per due motivi, primo perché di sostenibilità molto si parla ma poco (ancora) la si pratica, nel senso che non stiamo parlando solo di sostenibilità ambientale; secondo motivo perché la sostenibilità deve essere comunicata a stakeholder precisi individuando di volta in volta modalità ingaggianti e con contenuti veritieri e interessanti. Oltre a questo, come già indicavamo più sopra, stiamo lavorando molto sulla costruzione di veri e propri palinsesti per podcast corporate, cioè podcast utilizzati come “radio dell’azienda”. Si tratta di uno strumento molto potente. Probabilmente, le nostre capacità di innovazione le esprimiamo al meglio nell’ideare progetti innovativi, più che sul piano dell’utilizzo della tecnologia, che credo debba essere considerata una commodity, sul piano dei contenuti. Solo per fare un esempio, proprio in questi giorni stiamo lanciando una serie di progetti di Csr dedicati all’adolescenza: proponiamo cioè alle aziende di avviare progetti che riguardino gli adolescenti, una “categoria” tra le più colpite sul piano della socialità dalla pandemia ma per la quale poco o nulla è stato fatto. Per questo, il progetto lo abbiamo intitolato “Adolescenza senza ristori. Progetti e idee per un recovery plan generazionale».

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