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Viani, famelici.it, "Un giornalismo gourmet di ricette non basta più"

Viani, famelici.it, "Un giornalismo gourmet di ricette non basta più"

Monica Viani, giornalista presso la casa editrice Editrade e co-founder del blog di enogastronomia e cultura Famelici.it ci spiega come, dopo oltre un anno di Pandemia, è cresciuta l’attenzione del lettore per ciò che trova nel piatto e si è superata la spasmodica ricerca della ricetta tout-court. Oggi sembra fare capolino la convinzione che prima dell’esperienza gourmet sia necessario conoscere l’ingrediente che va rispettato e poi trasformato.

Il futuro secondo Monica? Il problema non sarà dare notizie, ma come proporle e con quali approfondimenti stimolare il nostro pubblico.

Come hai affrontato con la testata con cui collabori questa pandemia e la conseguente grande difficoltà nel settore ristorativo? Hai in qualche modo modificato la tua narrazione solita? Sono state realizzate iniziative particolari per raccontare questo periodo così fuori dall’ordinario?

«Il blog magazine Famelici (www.famelici.it) si occupa di cibo e cultura. Così, allo scoppio della pandemia, abbiamo deciso di approfondire quelle tematiche che potevano offrire al mondo del food uno stimolo per riflettere su quali strategie mettere in campo per costruire un futuro migliore. Abbiamo approfondito tematiche relative alle nuove tecnologie al fine di consentire ai ristoratori e ai piccoli produttori di avviare nuove forme di commercializzazione, capaci di dare al consumatore una valida alternativa alla GD e ai colossi della distribuzione. Per aiutare il comparto turistico abbiamo continuato a parlare di territori, sottolineando il loro legame con il cibo. Inoltre per un anno abbiamo inviato, una volta al mese, una newsletter per offrire ai nostri lettori una panoramica dei principali spunti di riflessione offerti dalla stampa italiana e straniera, oltre che dalle aziende che promuovevano una ripartenza etica, sostenibile e ragionata».

Dal tuo punto di vista, come hanno comunicato le aziende del food e della ristorazione (aziende alimentari, ma anche chef, ristoranti etc) in questo periodo? Ci sono iniziative che ti hanno colpito particolarmente e che hai voluto mettere in evidenza?

«I ristoratori, le piccole aziende e il settore turistico sono stati abbandonati a se stessi. È mancata una voce autorevole capace d’interpretare la crisi di quelle categorie di lavoratori, che rappresentano una grande fetta del Pil italiano. Spesso piccole attività, per sopravvivere, hanno dovuto sottostare a regole imposte da chi offriva il servizio d’asporto. Non sono mancati timidi tentativi, spesso poco raccontati, di piccole aziende, che hanno cercato di avvicinare il proprio cliente con iniziative originali. Purtroppo queste “voci nel deserto” non sono riuscite a fare rete e ad acquisire così quella forza che avrebbe potuto trasformarle in una alternativa interessante. La stampa, a sua volta, ha le sue colpe, essendosi spesso limitata a raccontare il disagio senza raccogliere testimonianze positive».

E i tuoi lettori come hanno reagito? Hai notato una maggior sensibilità a determinati temi legati al mondo del food? C’è stato, secondo te, un incremento di attenzione nei confronti di questo settore?

«Abbiamo registrato una maggiore attenzione alle tematiche legate alla sostenibilità e al desiderio di conoscere ciò che c’è nel piatto. È, invece, ancora molto difficile trattare le tematiche legate alle condizione dei lavoratori, soprattutto quando si parla di agricoltori. Abbiamo assistito ad un timido superamento della spasmodica ricerca della ricetta. Sembra cominciare a fare capolino la convinzione che prima di fare un piatto si debba conoscere l’ingrediente che va rispettato e poi trasformato. Il mondo dell’informazione, se continua la strada dell’offrire solo ricette, rischia la saturazione e il conseguente declino. A nostro avviso, lo sforzo da compiere è quello di affrontare maggiormente gli aspetti culturali, sociali, etici, ambientali, senza dimenticare il tema della convivialità».

 Dopo la pandemia, e quando finalmente si potrà parlare davvero di ripartenza, come cambierà secondo te la comunicazione in ambito food? Quali canali dovrebbero essere privilegiati e quali quelli che hanno fatto il loro tempo?

«La carta stampata sta attraversando un profondo periodo di crisi, il più lungo e deleterio della sua storia. L’unica strada, per poter tornare ad affascinare il lettore, è quella dell’innovazione, ma gli editori sembrano preferire la politica dei tagli rispetto a quella degli investimenti. I media online non sembrano sapere sfruttare gli spazi lasciati dalla carta stampata, replicando in rete il modello del giornale cartaceo. I blog hanno perso la loro vivacità iniziale. Oggi si guarda molto a FB, IG, ai Podcast e ai video. Difficile dire che cosa accadrà nel prossimo futuro. L’auspicio è che l’informazione non rimanga concentrata in poche mani in modo da garantire un’informazione libera e plurale. Il problema non sarà dare notizie, ma come proporle e quali approfondimenti stimolare».

Avete qualche progetto futuro che ci volete anticipare legato alla vostra testata o alla vostra vita professionale?

«Come idiemme e Famelici,  abbiamo avviato un progetto, #famedivero,  che riprende un'iniziativa nata nel 2018 e presentata alla Milano Food Week, con il patrocinio del Comune di Milano. Come diceva Nadine Gordimer  "la verità non è sempre bella, ma la fame di verità sì". Parliamo di quella “famelicità” che impone di trovare risposte a domande scomode, il cui obiettivo è costruire un’Italia che guarda al futuro, senza dimenticare quei valori che le hanno permesso di essere considerata nel mondo la culla della cultura e del buon cibo. Vogliamo porre sotto la luce dei riflettori la necessità della ricerca dell’autenticità e della difesa del bene comune. Vogliamo tracciare una mappa disegnata da artigiani, piccoli produttori agricoli, vignaioli, ristoratori, toccando ogni regione d'Italia. Per fare ciò dobbiamo partire da una semplice domanda: come possiamo misurare o quantificare l’autenticità di un prodotto, districandoci in una miriade d’informazioni poco chiare? Come possiamo dare voce a chi ha pochi strumenti per farsi sentire? Una piccola rivoluzione mossa da grandi ideali».

 

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