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Bassi, la wineblogger, "Un disastro se avessi perso gusto e olfatto"

Bassi, la wineblogger, "Un disastro se avessi perso gusto e olfatto"

«Se avessi preso il Covid avrei potuto percepire i profumi e i gusti dei vini?» Per tanti professionisti dell’assaggio la perdita di gusto e olfatto potrebbe portarsi dietro seri danni professionali. Così ha pensato Chiara Bassi, wineblogger con il blog Perlage Suite, e autrice del bestseller Amazon “Come diventare Sommelier”, oggi arrivato alla terza edizione. «Chiaramente per motivi di lavoro avrei potuto giustificare i miei spostamenti per andare ad assaggiare vini direttamente dai produttori, ma a essere sincera, ho preferito sospendere per alcuni mesi questa attività per evitare il rischio di contrarre il Covid e di farlo circolare nel caso fossi stata asintomatica. Visto il lavoro che faccio, il mio timore era anche quello di poter perdere gusto e olfatto, temporaneamente o definitivamente. Se fosse accaduto per me sarebbe davvero la fine».

Chiara Bassi è convinta che la pandemia abbia attuato una sorta di selezione naturale: solo chi è riuscito a rinnovarsi e reinventarsi ne è uscito più forte e competitivo. Sicuramente la crisi ha accelerato la digitalizzazione del mondo enogastronomico, ma, avverte Chiara, attenzione a non sopravvalutare i social network.

Come hai affrontato con il tuo blog questa pandemia? Hai in qualche modo modificato la tua narrazione solita? Hai realizzato qualche iniziativa particolare per raccontare questo periodo così “straordinario”?

«Il core di Perlage Suite è la didattica, pertanto la pandemia non ha influito troppo sulla narrazione, dal momento che pubblico principalmente contenuti enogastronomici formativi. Un altro focus di Perlage Suite è l’abbinamento cibo-vino, dove sono stata premiata anche come miglior wine blogger d’Europa da Millésima a Bordeaux nel 2017, ma anche questa parte non ha riscontrato problemi perché le cantine mi hanno regolarmente inviato a casa i loro prodotti, con una media di circa 40 etichette al mese ricevute e diverse specialità alimentari con cui comporre ricette o fare semplicemente degustazioni.

La parte che invece ha risentito è stata quella dei reportage in azienda che non ho più potuto fare per molti mesi»

Dal tuo punto di vista, come hanno comunicato le aziende del food e della ristorazione (aziende alimentari, ma anche chef, ristoranti etc) in questo periodo? Ci sono iniziative che ti hanno colpito particolarmente e che hai voluto mettere in evidenza?

«Ho visto aziende rassegnarsi e aziende reinventarsi, soprattutto per quanto riguarda l’e-commerce, l’asporto e il delivery. Non ci sono particolari iniziative che ho voluto mettere in evidenza, ma ho cercato di sostenere chiunque non si è arreso di fronte alla difficoltà ed è stato capace di correggere gli asset della propria azienda non solo per sopravvivere, ma per far diventare questa crisi un’opportunità. Voglio vedere questa pandemia come l’accelerazione verso la digitalizzazione del mondo vitivinicolo e gastronomico. Per me sopravviveranno solo i migliori: si chiama selezione naturale. Per migliori non intendo esclusivamente chi elabora i prodotti migliori, ma chi è capace di innovarsi e rinnovarsi con uno spirito imprenditoriale audace e visionario. Il prodotto da solo non basta per scrivere la storia di un’azienda.»

E i tuoi lettori come hanno reagito? Hai notato una maggior sensibilità a determinati temi legati al mondo del food? C’è stato un incremento di attenzione nei confronti di questo settore?

«Le visite sul blog sono aumentate e oggi si sono assestate intorno al mezzo milione di pagine lette ogni mese. Un bellissimo risultato di cui sicuramente la pandemia è stata complice dato che la gente ha avuto più tempo per leggere e studiare. Sui social e per e-mail ho ricevuto diversi messaggi sul tema ristoranti-pandemia, ma, a parte qualche interessante racconto, erano per lo più polemiche e commenti politicizzati. Ammetto che polemica e politica non fanno per me quindi ho quasi sempre evitato di dar loro spazio. In generale tuttavia ho riscontrato un aumento di interesse per gli articoli di cucina e in particolare per le ricette che pubblico. Questo sicuramente è un effetto della pandemia: anche chi a malapena sapeva di avere un forno in casa, in questo periodo ha cucinato, spesso anche scoprendo una passione insospettabile. Le ricette più apprezzate? La Boeuf Bourguignon di Julia Child (ma quello è anche merito del film Julie & Julia con una straordinaria Meryl Streep che hanno trasmesso su Netflix) e i grissini torinesi, tratta dal libro Gli Aristopiatti di Lydia Capasso: sono stati davvero in tantissimi a ringraziarmi di averla pubblicata mandandomi le foto di quelli che hanno sfornato».

Dopo la pandemia, e quando finalmente si potrà parlare davvero di ripartenza, come cambierà secondo te la comunicazione in ambito food? Quali canali dovrebbero essere privilegiati e quali quelli che hanno fatto il loro tempo?

«Durante la pandemia ho visto nascere tanti fuochi di paglia, fuochi che spesso si sono spenti nel giro di pochi mesi. Purtroppo in molti si ostinano a investire la quasi totalità del tempo e delle risorse sui social dimenticando che sono in casa d’altri e che, tra mode, regole e furbetti di sorta, sono in balia del vento. Personalmente credo che quando si ha un’azienda non si può lavorare così. Per questo sono assolutamente favorevole a integrare la propria comunicazione con i social network avendo però cura di scegliere con attenzione quello più allineato al proprio target. Tuttavia resto dell’idea che il canale privilegiato debba essere sempre quello di casa propria, ovvero il proprio sito web. La comunicazione in ambito food deve passare dal proprio sito come canale principale al fine di innescare un circolo virtuoso di miglioramento dell’indicizzazione sui motori di ricerca, un aumento delle vendite nel proprio shop online o in eventuali marketplace integrati e una crescita delle conversioni nell’eventuale punto fisico di accoglienza.

Per quanto riguarda i canali che hanno fatto il loro tempo è difficile dirlo oggi, perché tutto è estremamente mutevole: in generale ritengo i social una bolla destinata ad esplodere, per questo evito di passarci più tempo dello stretto necessario. E poi davvero voi volete regalare tutti i vostri migliori contenuti a un media che non vi appartiene per far crescere lui mentre voi camminate sull’orlo di un precipizio senza paracadute?»

Hai qualche progetto futuro che ci vuoi anticipare legato al tuo blog e alla tua vita professionale?

«Per deformazione professionale ho cercato di trasformare una tragedia come la pandemia in un’opportunità. Così nel 2020 mi sono iscritta alla facoltà di Scienze Gastronomiche, indirizzo enologia e viticoltura, e sono pronta a laurearmi nell’estate 2022: ho utilizzato il tempo che prima dedicavo ad andare in giro per fiere, manifestazioni e cantine, per studiare e ne sono davvero fiera. Poi ho creato il primo podcast italiano dedicato all’abbinamento vino cibo intitolato “Il Rosso (non) sta bene con tutto” che potete ascoltare su Spotify. Sto preparando la terza edizione illustrata del mio libro “Come diventare Sommelier”, bestseller Amazon fin dalla prima edizione di novembre 2018, in cui il cibo avrà ancora più spazio. Infine c’è il progetto più grosso e importante: la startup per la ripartenza dell’enogastronomia italiana che sto costruendo insieme a Valentina Mantovani, l’altra mia metà della mela dal punto di vista umano e professionale. Valentina è la persona che ho sempre aspettato per creare qualcosa di straordinario e quello che stiamo costruendo insieme è davvero straordinario. Il focus della nostra startup? Per ora non posso svelarvi ancora nulla, ma ne sentirete molto presto parlare e, sono convita, ve ne innamorerete!

 

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