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Caldara, "Dopo il Covid vincerà la qualità nella comunicazione"

Caldara, "Dopo il Covid vincerà la qualità nella comunicazione"

Giovanni Caldara, giornalista professionista, si occupa di cibo e cultura, tematiche che ama intrecciare alla ricerca delle comuni radici: tanto sulle pagine culturali di Avvenire, dove ha scritto, che al Tropea Festival Leggere & Scrivere o all’Ombre Festival di Viterbo, con cui ha collaborato. Ha scritto per Il Domenicale, per il sito de Il Giornale, per l’inserto Gourmet del femminile Elle. Collabora con QN e Civiltà del Bere.

Come avete affrontato con le testate con cui collabori questa pandemia e la conseguente grande difficoltà nel settore ristorativo? Avete in qualche modo modificato la vostra consueta narrazione? Avete realizzato qualche iniziativa particolare per raccontare questo periodo?

«Abbiamo affrontato la situazione con un cambio di passo che ha tenuto conto, tanto della chiusura dei ristoranti per moltissimi giorni, che dei vincoli alla mobilità che hanno messo in ginocchio il settore turistico strettamente legato a quello della ristorazione. Anche durante periodi “caldi” come Natale, Pasqua, San Valentino non era possibile indicare mete raggiungibili. Certo, abbiamo costantemente intervistato chef, dato consigli su proposte gourmet da realizzare a casa; abbiamo individuato iniziative di solidarietà che hanno coinvolto con generosità e creatività gli operatori del settore, ma anche parlato di nuove forme di adattamento e di resilienza, come il delivery».

Dal tuo punto di vista di giornalista del settore, come hanno modificato la comunicazione le aziende del food e della ristorazione? Ci sono iniziative che vi hanno colpito particolarmente e che avete voluto mettere in evidenza?

«Partiamo dalla cornice in cui ci muoviamo, un arco temporale lungo e ancora in evoluzione. Abbiamo superato da due mesi il primo anno di pandemia. Che, inizialmente, ha colto tutti di sorpresa. Durante il primo, durissimo, lockdown poche ed eclatanti sono state le chiusure, anche nella ristorazione stellata, subito rilanciate dalla stampa. In quel periodo le iniziative di solidarietà, di aiuto concreto, messe in atto da chef, ristoranti e realtà legate al mondo food hanno catturato la nostra attenzione. Durante la ripresa estiva abbiamo dato spazio alla grande reattività e alla voglia di ricominciare da parte di un intero settore: ferito senza dubbio, ma pronto a rimettersi in gioco. Il grande tema della sicurezza ha catturato l’attenzione dei media: non solo abbiamo parlato dei famigerati pannelli in plexiglass, ma anche seguito il racconto concreto delle misure anti-Covid (penso agli alberghi Covid-free) per vivere una vacanza in tranquillità. Da fine ottobre a oggi, invece, dove ancora non si parla con certezza di riapertura, lo stato d’animo dominante è quello di frustrazione, stanchezza, paura di non riuscire a ripartire: il che blocca in uno stallo drammatico molte realtà, anche assai meritevoli, che difficilmente oggi vedono (e dunque comunicano a fatica) un futuro percorribile».

I vostri lettori come hanno reagito? Avete notato una maggior sensibilità a determinati temi legati al mondo del food? C’è stato, secondo voi, un incremento di attenzione nei confronti di questo settore?

«I lunghi mesi di lockdown hanno avvicinato molte persone al mondo della cucina, specialmente a quella sperimentata in prima persona. Di qui un’attenzione superiore alle ricette, anche a quelle dei grandi chef, purché riproducibili. Le dirette Instagram di pasticceri e di cuochi, hanno suscitato grande interesse: quelle postate dalle loro case hanno contribuito ad avvicinare al mondo della cucina, trasformando questi professionisti in una sorta di divulgatori. Hanno abbattuto le distanze e appassionato anche chi, solitamente, considera la loro arte inavvicinabile.»

Dopo la pandemia, e quando finalmente si potrà parlare davvero di ripartenza, come cambierà secondo voi la comunicazione in ambito food? Quali canali dovrebbero essere privilegiati e quali secondo lei hanno fatto il loro tempo?

«Scommetterei senza dubbio sulla qualità: del giornalismo ma anche della ristorazione. Qualità che è parente stretta di temi verso i quali l’attenzione è destinata a crescere: la qualità del cibo, la sua tracciabilità, la sensibilità contro lo spreco, l’attenzione per l’ambiente. Questi sono fermenti attivi anzitutto tra i giovani. Credo in un giornalismo che sappia dare al lettore il più possibile gli strumenti, le chiavi di lettura per orientarsi in un panorama affollato e spesso confuso. L’eccentricità fine a sé stessa, una ristorazione autoreferenziale, lontano dalle ansie e dai limiti, anche economiche, del momento, tutto questo è invece destinato a lasciare il passo.»

Ha in cantiere qualche progetto futuro che ci vuole anticipare legato alle sue collaborazioni giornalistiche o più in generale alla sua vita professionale?

«Il progetto futuro è tornare finalmente cronista sul campo, su e giù per l’Italia, e raccontare l’evoluzione di un mondo affascinante, competitivo ma ricchissimo di eccellenze che è vanto del nostro Paese nel mondo».

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