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I virus della piante, una minaccia per il nostro cibo

I virus della piante, una minaccia per il nostro cibo

«Il nostro cibo arriva in larga parte da piante e agricoltura e la salute delle piante è fortemente compromessa da cambiamenti climatici e globalizzazione dei mercati». La professoressa Lodovica Gullino, direttore di Agroinnova, Università di Torino, non ha usato mezze parole nel panel I virus delle piante – Un grande pericolo per il nostro cibo, a cui ha preso parte oggi con il docente di Virologia virale Maurizio Conti, la presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Umberto Veronesi Chiara Tonelli, il ricercatore Francesco Faggioli di CREA -Difese e certificazioni, moderati da Gianfranco Quaglia, giornalista di Agromagazine . Le minacce sono rappresentate da quattro T: trade, travel, tourism, transport (commercio, viaggi, turismo, trasporto): «La ruggine del caffè, che dall'Asia è riuscita poi a dilagare in America Latina come conseguenza del cambio climatico o la batteriosi causata dalla xylella, arrivata in Italia come effetto del trasporto globale (potrebbe essere stata portata da piante ornamentali provenienti dal Costarica), sono solo esempi di come i virus possono trasmettersi e diffondersi facilmente a causa del cambio climatico e della globalizzazione. Una migliore cooperazione internazionale nel controllo delle piante, una maggiore presenza di laboratori per la ricerca in tutti i Paesi, non solo in alcuni, una concertazione della ricerca condotta su cambiamenti climatici aiuterebbero a contenere i virus e a studiarli».

Generalmente di virus non muoiono le piante, ha spiegato il professor Maurizo Conti, docente di Virologia Vegetale, perché «un virus che uccide la pianta ospite si autoelimina». Se i virus arrivano a essere letali, spesso è a causa dell'azione antropica: «L'agricoltura brasiliana è stata distrutta quando è arrivato il virus della tristezza, che in Africa, sua terra d'origine, non aveva creato problemi; innestato nell'arancio amaro, molto sensibile alla sua presenza, ha ucciso oltre 60 milioni di piante».

Negli interventi dei relatori del panel è tornato spesso il paragone tra i virus delle piante e il covid, che ha cambiato lo stile di vita di buona parte del pianeta. Francesco Faggioli, ricercatore di CREA – Difese e certificazioni, ha sottolineato che entrambi sono «a bassissima letalità, ma, siccome si diffondono rapidamente, sono a grandissima mortalità, intesa come perdita del prodotto o della sua qualità. Per le difficoltà della cura e perché non uccidono la pianta ospite, i virus sono sempre stati trattati in modo meno puntuale dalla ricerca, invece sono subdoli parassiti da cui dobbiamo guardarci».

La presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Umberto Veronesi Chiara Tonelli ha concentrato la sua attenzione sui possibili interventi di gene editing per migliorare la resistenza delle piante ai virus, ricordando che «secondo dati FAO, perdiamo il 30% della produzione mondiale, per stress ambientali, siano la siccità, le avversità o i virus. In più c'è l'aumento della popolazione, ma non si può aumentare la superficie coltivabile, perché non si può continuare a disboscare; quindi sulla stessa area è necessario produrre di più, evitando le perdite. E questo si ottiene rendendo le piante più resistenti agli stress ambientali». La ricerca gioca un ruolo fondamentale nel gene editing, ma, ha avvertito Tonelli, «l'Unione Europea deve dare l'okay a queste tecniche, perché se non lo facesse l'Europa e l'Italia dovrebbero acquistare i prodotti alimentari fuori dai propri confini».

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