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L'EFSA ribadisce, il virus non si trasmette con l'ingestione del cibo

L'EFSA ribadisce, il virus non si trasmette con l'ingestione del cibo

Il virus non si può trasmettere attraverso il cibo? All’inizio di marzo l'EFSA ha diramato un comunicato in cui affermava che non c’è alcuna evidenza che il cibo possa essere fonte o via di trasmissione del Covid-19, una rassicurazione ancora valida dopo oltre due mesi dall’inizio dell’emergenza.

«Scienziati di tutto il mondo - ricorda Barbara Gallani, responsabile comunicazione dell'EFSA, l'agenzia europea per la sicurezza alimentare  - stanno monitorando la diffusione del virus e a oggi non si registrano segnalazioni di trasmissione tramite il cibo. Gli studi condotti su precedenti focolai epidemici simili, come la Sars, hanno dimostrato che la trasmissione avviene per via respiratoria. Alla luce delle conoscenze attuali, non abbiamo pertanto ragione di pensare che questo coronavirus si comporti diversamente».

L’OMS ha però dichiarato che un animale usato per il cibo in Cina è stato la fonte dell'infezione iniziale. Come possiamo essere sicuri che se mangiamo un prodotto animale non verremo contagiati da qualche malattia? 

«Tra le varie ipotesi, ce n’è una secondo cui un mercato alimentare a Wuhan possa essere all'origine della catena dell'infezione. Tuttavia la fonte della prima infezione umana non è stata ancora identificata. I coronavirus sono una grande famiglia di virus comuni negli animali e nell'uomo. Sono una delle principali cause del comune raffreddore di cui molti di noi soffrono ogni anno.

Ad oggi non abbiamo prove di un'infezione da coronavirus di origine alimentare dell'uomo. 

Ci tengo poi a ricordare che l'UE dispone di regole severe che garantiscono un elevato livello di sicurezza alimentare. Le misure di biosicurezza e le buone pratiche igieniche, in particolar modo dei lavoratori del settore alimentare, proteggono già i consumatori da altre possibili infezioni da alimenti contaminati, non solo dal coronavirus. Anche noi, nella nostra quotidianità, possiamo prendere semplici precauzioni come, ad esempio, lavare e sanificare tutte le superfici e gli utensili a contatto con gli alimenti, lavarci le mani, evitare il contatto tra cibi crudi e cotti e cucinare gli alimenti in modo corretto».

Meglio quindi consumare cibi cotti ad alte temperature? 

«Ripeto, non ci sono evidenze scientifiche che indichino che il cibo sia una fonte o una via di trasmissione del virus. Quello che è davvero fondamentale e di cui non si parla abbastanza è invece il rispetto delle usuali norme di buona igiene in cucina durante la manipolazione e preparazione degli alimenti. Laviamoci spesso le mani! 

In generale vorrei aggiungere che, come per altri coronavirus conosciuti, questo virus è sensibile alle temperature di cottura».

Altri consigli pratici?

«Esistono una serie di accorgimenti consigliati da diversi organismi a livello mondiale, gesti che ognuno di noi può fare nella propria cucina. Ad esempio, lavarsi le mani per 20 secondi con acqua calda e sapone prima e dopo la preparazione di prodotti freschi; sciacquare frutta e verdura prima di sbucciarli, in modo che lo sporco ed eventuali batteri non vengano trasferiti dal coltello sulla frutta o sulla verdura; asciugare i prodotti con un panno pulito o un tovagliolo di carta per ridurre ulteriormente i batteri che possono essere presenti».

Che fare poi con il cibo a domicilio?  

«Vorrei ribadire che gli alimenti non sono, a oggi, riconosciuti come una fonte di contagio da coronavirus. Per cui si può ordinare cibo a casa e, secondo quanto previsto dalle nuove disposizioni del governo italiano, prenderlo d’asporto, facendo attenzione a rispettare le distanze e indossando le mascherine». 

Lei è la direttrice della comunicazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Come districarsi durante una crisi tra la miriade di informazioni e il rischio di imbattersi in fake news ?

«In tempi di crisi è fondamentale che i cittadini possano accedere facilmente a informazioni affidabili e che loro stessi non diventino fonte di informazioni errate, la cui origine possa essere dubbia. 

Abbiamo visto in queste settimane come le app di messaggistica attraverso il cellulare siano state identificate come fonte principale di molte informazioni false. Se la lotta alla disinformazione è già centrale in ambito quotidiano, lo diventa ancora di più durante una pandemia. 

Questa lotta passa anche attraverso l’educazione del cittadino nei confronti di una corretta informazione. Dall’inizio di questa crisi, l'Organizzazione mondiale della sanità, la Commissione europea e i Ministeri della Sanità di ogni Paese forniscono aggiornamenti quotidiani e mettono a disposizione delle ‘Domande e Risposte’ per rispondere ai dubbi dei singoli. Queste sono le fonti primarie da ricercare e da condividere, quelle che, tra l’altro, vengono citate dai giornalisti di tutto il mondo. Direi che questa pandemia è un importante promemoria del ruolo della scienza nella nostra società». 

A proposito: molte aziende hanno dovuto chiudere i battenti o ridurre la loro produttività. Che impatto ha avuto questa pandemia sul lavoro scientifico quotidiano di EFSA?

«L'EFSA ha sede a Parma, una delle aree da subito più colpite dal virus. Già a partire dall'ultima settimana di febbraio abbiamo adottato una serie di misure come lo smart working per il nostro staff. Mentre eventi, trasferte e visite di esterni presso la nostra sede sono stati sospesi. Laddove possibile queste attività sono state trasformate in tele-meeting, facilitati enormemente dalla tecnologia.

Il nostro lavoro scientifico non ha subito ritardi, i gruppi di lavoro (che coinvologno centinaia di esperti scientifici provenienti da ogni parte dell’Ue) continuano a riunirsi in video conferenze e pertanto EFSA continua a produrre la consulenza scientifica che serve per le decisioni da prendere a livello politico e gestionale, in materia di sicurezza alimentare.

Questa conoscenza scientifica di cui parlo, prodotta, ad esempio, sotto forma di rapporti o analisi, è al servizio della salute del consumatore europeo. Per questo motivo è assolutamente importante che il lavoro di EFSA non si fermi.

A tal fine, la salute dei nostri dipendenti è fondamentale. Per la cosiddetta fase 2 stiamo valutando attentamente quali misure e quali condizioni mettere in atto. Sarà sicuramente un ritorno graduale, scrupolosamente in linea con le direttive delle autorità nazionali e regionali. E facilitato dal fatto che, come dicevo, i circa cinquecento dipendenti che normalmente risiedono a Parma, possono continuare a lavorare da casa».

 

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