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Magheri, Comunicazione pubblica, "Al centro la fiducia dei cittadini""

Magheri, Comunicazione pubblica, "Al centro la fiducia dei cittadini""

La fiducia sarà sempre più al centro del rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione. Compito della comunicazione pubblica sarà connettere la pubblica amministrazione al mondo reale e farla dialogare con i cittadini. Marco Magheri, segretario generale dell’Associazione italiana per la comunicazione pubblica e istituzionale, partner del Festival del Giornalismo Alimentare, spiega come dovrà comunicare il mondo del pubblico per dare nuova credibilità alle istituzioni.

Come stanno comunicando gli enti pubblici durante questa pandemia? Si sta approfittando per campagne di promozione di servizi, territori, diritti oppure c’è solo una comunicazione di emergenza, di mantenimento?

«Come stanno comunicando le istituzioni e le case farmaceutiche sul tema della pandemia sarà oggetto di studio e di approfondimento per diversi anni. Un primo bilancio che può essere fatto è sulla disgregazione e sulla difficoltà di avere una comunicazione pubblica con un tono e contenuti che potremmo definire one voice. Questo ha creato – soprattutto nel territorio, tra istituzioni centrali e Regioni e anche tra Regioni e Regioni, tra istituzioni nazionali e istituzioni internazionali - una gran confusione, sicuramente alimentata anche dalle implicazioni commerciali e diplomatiche legate alla lotta alla pandemia. Ci siamo chiesti come mai siamo diventati, senza accorgercene, tifosi di un vaccino rispetto a un altro? Certamente non sulla base delle evidenze scientifiche».

Dopo la pandemia, come deve cambiare la comunicazione degli enti pubblici? Quali canali dovrebbero essere privilegiati e quali quelli che hanno fatto il loro tempo?

«La pandemia ci lascia una grandissima lezione. Ci troviamo di fronte a una grande opportunità di consapevolezza sul valore della comunicazione pubblica e istituzionale come asset del sistema Paese e delle istituzioni comunitarie. Sicuramente ci insegna l’importanza della comunicazione pubblica come strumento inclusivo per le persone. Una lezione che ci rimane è legata a come le persone sono rimaste in contatto - soprattutto nel periodo del lockdown e nelle prime tre fasi della pandemia - relativamente al rapporto con le istituzioni. I dati ci dicono che (a differenza di quanto si possa immaginare) è stata soprattutto la televisione a garantire il contatto tra le cittadine e i cittadini e il collegamento con le istituzioni e con il Paese reale. Questo anche per evidenti ragioni sociodemografiche e di sviluppo delle infrastrutture in termini digitali. Il digital devide è un tema culturale, prima che tecnologico e infrastrutturale, e le istituzioni hanno il dovere costituzionale di tenerlo presente, altrimenti si rischia di avere una comunicazione parziale, escludendo dal contatto con il Paese reale, con il sistema Paese, proprio i cittadini più fragili, quelli che sono ai margini da un punto di vista territoriale, sociale, anagrafico. Ricordiamo che in Italia vivono 14 milioni di cittadini ultra 65enni - di cui oltre 3 milioni vivono da soli - e 18 mila ultracentenari».

Sugli ex “nuovi” media c’è ancora un problema di formazione nel mondo della comunicazione pubblica? Quanto gli enti stanno contribuendo all’innovazione nell’uso professionale dei canali social e dei canali informativi?

«L’uso dei cosiddetti “nuovi media” è un falso problema dal punto di vista delle competenze. È invece un problema cogente e reale in termini di esercizio dei diritti dei cittadini e dei rischi per la loro tutela. In particolare, non possiamo derubricare tutto il tema della trasformazione digitale della pubblica amministrazione e delle relazioni tra istituzioni e cittadini solamente attraverso l’utilizzo delle piattaforme social che, ricordo, sono piattaforme private sulle quali andiamo a innestare un sistema di comunicazione tra istituzioni e cittadini. Nella cassetta degli attrezzi dei comunicatori della pubblica amministrazione l’uso esperto delle piattaforme digitali è già requisito essenziale garantito dai percorsi di formazione e aggiornamento continuo prescritto dalla Legge 4/2013, la cui attestazione di qualificazione professionale è erogata da Comunicazione Pubblica. I comunicatori pubblici hanno una gamma di strumenti molto articolata per dialogare con i cittadini, per porsi in ascolto dei cittadini e per poter dare loro delle risposte, e vanno usati tutti, a seconda delle necessità e degli interlocutori. Questi elementi sono alla base dello sviluppo di una relazione di valore che è il senso stesso della comunicazione pubblica e istituzionale. Se relegassimo al solo utilizzo dei social, o se vedessimo nei social la panacea per ricostruire o sostanziare la comunicazione tra cittadini e istituzioni, faremmo un grandissimo torto al mandato costituzione del diritto dei cittadini a essere informati».

Come cambierà il lavoro dell’ufficio stampa pubblico?

«Il lavoro all’interno di un ufficio stampa non cambierà in maniera improvvisa e percettibile perché è in perpetuo cambiamento e si aggiorna e si evolve giorno dopo giorno all’interno delle dinamiche di valore tra istituzioni e mezzi di informazione. Sappiamo che il mondo dell’editoria e del giornalismo è investito da una storica fase di evoluzione, potremmo dire una febbre di crescita, per cui la nostra dieta mediatica è destinata a una profonda rimodulazione. Oggi è difficile immaginare un giornalista che non sappia governare in maniera professionale tutti gli strumenti messi a disposizione da parte delle tecnologie, per esempio la gestione di grandi moli di dati o l’utilizzo di strumenti più veloci. Quello che non deve assolutamente venir meno nel lavoro del giornalista che lavora per una pubblica amministrazione o con una pubblica amministrazione devono essere il percorso formativo, le competenze e soprattutto il patrimonio deontologico frutto dell’appartenere a un Ordine professionale che deve garantire il percorso di formazione continua obbligatoria».

Quale sarà il rapporto degli uffici stampa con media indipendenti e con i giornalisti e quale sarà il modo più efficace di rapportarsi con loro?

«Tutte le relazioni – che siano di tipo personale o professionale o nel caso delle relazioni tra istituzioni e mezzi di informazione – si basano sullo stesso principio: la fiducia. È su questo che bisogna lavorare. La condivisione della deontologia e dei fondamenti culturali della professione tra giornalisti che svolgono l’attività di informazione e giornalisti che sono all’interno di un’istituzione pubblica o di servizio pubblico è fondamentale per sviluppare questo rapporto di mutuo riconoscimento e per coltivare fiducia in entrambe le direzioni. Si tratta di una collaborazione tesa, da entrambe le parti, a soddisfare il diritto costituzionale a una corretta informazione».

Come associazione quali progetti avete in cantiere per migliorare la comunicazione pubblica?

«L’Associazione italiana della comunicazione pubblica e istituzionale ha piena consapevolezza (è nel suo patrimonio genetico originario) che le grandi questioni del nostro tempo non possano essere affrontate all’interno di una visione asfittica volta a riconoscere la soluzione dei problemi all’interno di un perimetro nazionale. I grandi tempi del nostro tempo - e la pandemia ce lo sta ricordando in maniera dirompente - non riconoscono confini. Questo vale anche per quanto attiene la deontologia della comunicazione pubblica e istituzionale e l’utilizzo degli strumenti e delle piattaforme digitali e nello sviluppo del linguaggio con cui la pubblica amministrazione deve parlare con i cittadini. Sono tutti temi che possono essere gestiti quantomeno in un’ottica di respiro europeo. Come comunicazione pubblica, quest’anno, siamo impegnati nello sviluppo di un G20 della comunicazione pubblica e istituzionale riconoscendo al tema della comunicazione il valore di vero e proprio asset per lo sviluppo sostenibile del nostro Pianeta e per contribuire al raggiungimento dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu».

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