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Marina Marinetti, economymag.it, ripartire con ristori e comunicazione

Marina Marinetti, economymag.it, ripartire con ristori e comunicazione

Marina Marinetti, giornalista e vicedirettore di economymag.it, racconta al Festival come la sua testata ha trattato dei ristori al settore alimentare e ha attraversato la pandemia. Dar voce agli operatori della ristorazione è stato fondamentale soprattutto nella prima parte dell’emergenza. Oggi l’attenzione è sulle soluzioni indispensabili a far ripartire un intero settore. Parola chiave di lettura: la crisi della politica e l’incapacità di rispondere al grido di allarme.

Come avete affrontato con la vostra testata questa pandemia e la conseguente grande difficoltà nel settore ristorativo? Avete in qualche modo modificato la vostra narrazione solita? Avete realizzato qualche iniziativa particolare per raccontare questo periodo così particolare?

«Economy nasce per raccontare l'economia reale e si è schierato da subito a favore dei ristori al fianco degli imprenditori, inclusi quelli della ristorazione. Attraverso la rivista, ma ancora di più con il webmagazine www.economymag.it abbiamo dato voce agli operatori della ristorazione e alle organizzazioni di settore (incluse quelle nate proprio per fare fronte comune durante la pandemia) rimarcando l'esigenza di sostegni, proponendo soluzioni, raccontando le iniziative sorte a supporto del comparto.

Dal vostro punto di vista, come hanno comunicato secondo voi le aziende del food e della ristorazione (aziende alimentari, ma anche chef, ristoranti etc) in questo periodo? Ci sono iniziative che vi hanno colpito particolarmente e che avete voluto mettere in evidenza?

«Diciamo che la comunicazione ai tempi del Covid, e non solo quella nel settore della ristorazione, si è alquanto appiattita. D'altra parte, ad aziende chiuse, cosa comunicare se non le iniziative di solidarietà, la richiesta di aiuti e di ristori, le incongruenze di chiusure imposte a fronte dell'obbligo di implementare misure di sicurezza sempre più stringenti? Durante le fasi critiche della pandemia, però, il settore non si è arreso e ha reagito avviando non solo il food delivery - di cui alcuni player si sono approfittati aumentando le fee, ma questo è un altro discorso - ma anche associandosi sotto l'egida di neonate iniziative di co-marketing. L'unione fa la forza, è vero. Anche in ambito comunicativo»

I vostri utenti/lettori/ascoltatori come hanno reagito? Avete notato una maggior sensibilità a determinati temi legati al mondo del food? C’è stato, secondo voi, un incremento di attenzione nei confronti di questo settore?

«In realtà no, come in ogni crisi ognuno pensa alle proprie disgrazie e il senso di comunità si perde sempre un po', benché fare sistema sia invece la strada migliore per uscire dalla crisi. Ma siamo in Italia, oppressi da un fisco criminogeno che spinge a trovare strade creative per sopravvivere. Purtroppo la categoria dei ristoratori, come quella dei commercianti, chiede ristori, ma è marchiata dal peccato originale dello scontrino "volontario" (col solito corollario del "noi paghiamo più tasse perché c'è chi ne paga di meno"): non a caso il governo ha legato i ristori al calo del fatturato».

Dopo la pandemia, e quando finalmente si potrà parlare davvero di ripartenza, come cambierà secondo voi la comunicazione in ambito food? Quali canali dovrebbero essere privilegiati e quali quelli che hanno fatto il loro tempo?

«La questione non è solo la creatività, ma anche l'osservazione oggettiva del mondo della comunicazione, che tende a non allargare lo sguardo osservando come si muovono i competitor. Il risultato è una comunicazione appiattita sugli stessi temi: la ripartenza, il delivery, le nuove proposte... Difficile trovare qualcosa di dirompente, che attiri l'attenzione. Ma questo è un problema comune a tutti i comparti».

Suggerimenti?

«Forse attraversare qualche confine ideologico e andare a cercare non tanto l'audience promessa - ma non garantita - dai grandi media, quando il target verticale, senz'altro più efficace. Alimentando non solo il sottobosco delle riviste del food, ma osando esplorare media prima non considerati. Non parlo solo di Economy, che comunque si rivolge a un target "alto spendente", ma anche magari di testate di settore. Benissimo le iniziative che coinvolgono direttamente i giornalisti (viaggi, pranzi, degustazioni), che garantiscono la pubblicazione. Eviterei invece di rincorrere le sirene degli eventi digitali o dei podcast: non abbiamo abbastanza tempo per seguire tutto, davvero».

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