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#Ripartiamoinsieme, Borgia: "A febbraio il Festival della ripartenza"

#Ripartiamoinsieme, Borgia: "A febbraio il Festival della ripartenza"

Massimiliano Borgia è il direttore del Festival del Giornalismo Alimentare. Giornalista professionista, specializzato in alimentazione e ambiente il direttore è già al lavoro per preparare la sesta edizione del Festival già in programma per il 25, 26 e 27 febbraio 2021.

«Il Festival – osserva Borgia - è ormai un appuntamento di rilievo nazionale, unico nel suo genere anche nel panorama mondiale degli eventi sull’informazione e sul giornalismo. Una manifestazione che unisce il dibattito interno tra i giornalisti e le altre professioni della comunicazione al confronto tra il mondo dell’informazione e il mondo scientifico. Sullo sfondo c’è sempre il diritto dei cittadini ad essere informati correttamente per compiere le proprie scelte di vita e di consumo in modo davvero consapevole. I temi del Festival toccano soprattutto la corretta alimentazione, il contrasto alla fake news alimentari, il giornalismo di inchiesta nella filiera del food, la sostenibilità, il contrasto alle agromafie e l’informazione economica legata al settore alimentare. Tutti temi che, con la pandemia, sono ancora cresciuti di interesse. I cittadini si sono preoccupati di informarsi da fonti certe sulla salute, sulla ricerca scientifica, sull’evoluzione economica, sulle scelte politiche legate anche al complesso mondo del cibo. Per questo pensiamo che il Festival si debba svolgere in ogni caso, anche se dovesse ripresentarsi l’emergenza Coronavirus».

In che forma si svolgerebbe un festival che, da sei anni, è soprattutto occasione di incontro fisico tra le persone? E come pensate che verrebbe accolta un’edizione in questo momento di incertezza dove prevale il timore per la salute e per una crisi economica i cui possibili effetti non sono ancora chiari?

«Intanto, speriamo, come tutti, che la pandemia progressivamente si esaurisca e che, dall’autunno sia solo un tragico ricordo. In questo primo caso, ci sarebbe un grande ritorno degli eventi, che, per la primavera sono stati bloccati. Se la situazione sanitaria dovesse normalizzarsi e se avessimo la sensazione di poter tornare alla vita e al lavoro protetti da un sistema sanitario attrezzato e pronto a contrastare una nuova emergenza ci sarà un’esigenza sociale ma anche economica di ritrovarsi in eventi fisici. Fiere, saloni, convegni, tutte manifestazioni che aziende, istituzioni, enti, associazioni dovranno riprendere a frequentare. Soprattutto nel mondo del cibo, se non fai vedere, toccare, assaggiare è difficile vendere. Insomma, se ci sarà sicurezza ci sarà anche voglia di ripartire e di incontrarsi. A fine febbraio, periodo del Festival, sarà, comunque già possibile tracciare un bilancio provvisorio della ripartenza. Soprattutto sarà il momento giusto per scambiarsi le reciproche esperienze sui primi mesi di tentativo di ritorno alla normalità, su come sono state affrontate sia la pandemia che il ritorno alla produzione. Soprattutto sarà il momento giusto per parlare di errori da non ripetere, della grande lezione da trarre da questa batosta. E poi, sarà il momento per spiegare come si vede il futuro e per fotografare il mondo nuovo uscito dal Coronavirus. Insomma, sarà proprio il momento per fare un festival come questo».

Ma cambierà pur qualcosa nell’organizzazione del Festival…

«In ogni caso, dai webinar non si torna più completamente indietro. Sicuramente avremo dei momenti da vivere online, in collegamento dalle sedi dei relatori, dalle redazioni e dalle aziende. Se poi, in inverno, dovessimo cogliere, nuovamente, una grande preoccupazione e una diffusa indisponibilità a partecipare a eventi affollati (che, finora, è stato il bello del Festival), allora proporremmo i contenuti online, magari con un format del tutto innovativo rispetto ai webinar in cui ci siamo immersi in questi mesi. Ma, ripeto, anche se ci dovesse essere timore a stringere mani, ad assistere insieme ai panel, a fare esperienze di gruppo, ci sarà una grande voglia di ascoltare, discutere, formarsi per affrontare il futuro. Il Festival sarà quindi uno strumento necessario».

Si può già delineare questo futuro per l’informazione alimentare?

«Intanto partiamo dal presente. La pandemia ha costretto i ristoranti ad attrezzarsi per il delivery e per il take away. Ordinare la cena da casa e farcela portare da un driver era già una quasi abitudine per studenti, single, coppie sommerse dal lavoro. Ora il food delivery è entrato definitivamente nelle nostre abitudini e non se ne andrà più via. Anche la consegna della spesa a casa è un modo di approvvigionarci a cui ci siamo abituando: non solo più gruppi di acquisto o persone anziane, la spesa a casa si è scoperta una comodità anche per le famiglie. Quindi, ricapitolando, ristoranti (e tutti gli altri esercizi di somministrazione di cibo), cocktail bar, negozi alimentari, minimarket, aziende agricole stanno vedendo crescere le vendite online. Questo vuol dire che il sito web diventa ancora più centrale per un’attività legata al food: non solo più semplice vetrina ma vero strumento di vendita in e-commerce. Ma un sito internet non può contenere soltanto un catalogo o un menù. Un sito web ha bisogno di essere indicizzato dai motori di ricerca, ha necessità di farsi notare e di tenere sempre un filo diretto con i clienti. Per questo, ci sono i canali social collegati al sito oppure che fanno da spalla alla comunicazione del sito».

Quindi un numero sempre maggiore di piccole imprese alimentari scopre le funzioni comunicative del web, ma questo cosa significa per l’informazione alimentare?

«Vuol dire che i siti delle aziende food avranno bisogno di una gestione che incuriosisca e attiri gli utenti, avranno dunque bisogno di contenuti. Ecco che entra in gioco il giornalista freelance. Questa è una figura che può svolgere il ruolo di brand journalist, specializzazione che, nel mondo anglosassone, sta già decollando. Questo significa nuove opportunità di lavoro come micro uffici stampa per molti professionisti della comunicazione. Ma penso che. Oltre a quello delle aziende, anche il mondo dei media stia cambiando».

E come?

«C’è stato un segnale la cui importanza non è stata colta da tutti. La famiglia Agnelli-Elkann che investe di nuovo nell’informazione di qualità rilevando il Gruppo Gedi con tanto di Stampa, Repubblica, Espresso e Radio Capital e una valanga di giornali locali, vuol dire che i grandi imprenditori intravedono un futuro inedito per l’informazione e la considerano remunerativa. Proprio la pandemia lo ha confermato: per la prima volta e nel momento in cui potevamo sembrare più vulnerabili c’è stata una vera e propria rivolta verso le fake news e un’iniezione di fiducia inaspettata verso il giornalismo. In una crisi è vitale capire davvero come stanno realmente le cose e attrezzarsi per affrontarla. Per questo sono aumentati gli abbonamenti ai giornali online e la frequentazione di eventi di approfondimento in webinar. È vero che avevamo molto tempo libero ma questo tempo angosciato lo abbiamo speso a leggere notizie affidabili e a cercare di capire. Se in una coda al supermercato mi è capitato di assistere a una spiegazione di una pensionata su come funziona un virus con gli altri che aggiungevano particolari di un certo fondamento scientifico, è perché forse qualcosa resterà della voglia di notizie e documentazione seria e verificata. Inoltre, l’interesse per la salute, che era già molto alto tra i lettori, oggi è letteralmente esploso, così come l’interesse per la corretta alimentazione e per la cultura alimentare. Questo lascia ben sperare su una maggiore presenza di questi temi nei media».

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